ANIMALI FILOSOFI
di Laura Canavacci
Filosofa morale
1 giugno 2001 - Curiosando tra gli scaffali di una qualsiasi libreria mediamente fornita é possibile trovare, nel settore filosofia, libri dagli inusuali titoli “I diritti degli animali”, “Filosofie dell’animalità”, “Etica e animali” o altri simili. Ma quale legame unisce la riflessione sugli animali e la filosofia? Per sciogliere la curiosità basti sapere che una tra le novità più significative del dibattito filosofico degli ultimi tre decenni è stata l’emergere della cosiddetta “questione animale”. Ovviamente la riflessione sul rapporto tra esseri umani e animali, così come quello tra l’idea di animalità e l’idea di umanità, non é certo una innovazione della modernità nell’ambito della filosofia occidentale. Al contrario spesso le due nozioni sono state definite proprio per mezzo di questo confronto, l’una in relazione all’altra: generamente l’animalità in termini di negazione di tutto ciò che a seconda del clima filosofico imperante era considerato l’eccellenza della specie umana, nonché specchio di ciò di negativo che, pur appartenendoci come umani nella maniera più profonda, veniva invece attribuito per proiezione al mondo animale al fine di rimuoverlo. La novità del dibattito contemporaneo sulla questione animale (anche se non assoluta poiché anche nel passato alcuni filosofi si erano posti problemi simili) risiede nella centralità che in esso occupa il problema dell’attribuzione di rilevanza morale agli animali non-umani all’interno del nostro sistema etico generale di riferimento. Ciò che oggi viene discusso dai filosofi è se - e se sì, in che misura - i nostri comportamenti nei confronti degli animali non-umani siano o debbano essere connotati moralmente. L’innovazione introdotta dalla riflessione filosofica degli ultimi anni è dunque lo spirito stesso con cui la filosofia si avvicina alla questione animale, ovvero il tentativo di interrogarsi alla ricerca di una “giusta” collocazione degli animali non-umani all’interno dei sistemi etici strutturati a cui si fa normalmente riferimento per le relazioni morali tra conspecifici. Tale ricerca viene condotta dai filosofi con la pretesa di utilizzare strumenti argomentativi razionali (o almeno ragionevoli), e non solamente attraverso un appello alla benevolenza, al sentimento e alle passioni individuali. E quest’ultima è una caratteristica fondamentale poiché esprime il tentativo di non affidare alla sola benevolenza di alcuni il compito di tutela degli animali non umani, bensì quello di inserire i doveri morali nei confronti dei non umani all’interno di un’agenda generale contenente tutti i doveri di giustizia interpersonali. In termini generali, la riflessione filosofica sui rapporti tra l’essere umano e le altre specie animali può inquadrarsi in quel profondo cambiamento del clima filosofico verificatosi, a partire dalla cultura anglosassone, intorno agli anni Settanta, per il quale l’interesse si spostò, da questioni metaetiche e di filosofia del linguaggio, verso ricerche di carattere normativo e di etica applicata Si cominciò infatti in quegli anni a chiedere che i sistemi filosofici (e i filosofi che li sostenevano) si impegnassero attivamente nell’affrontare l’analisi e se possibile la soluzione di controversie e di dilemmi etici che dividevano la società civile. Si aprì così l’ambito di quel dibattito, non ancora concluso, sui cosiddetti «nuovi diritti» e sui «nuovi soggetti» morali. Si discute ancora molto infatti circa l’attribuzione di nuovi diritti morali a soggetti già tradizionalmente riconosciuti (eutanasia, aborto, fecondazione assistita) o dell’estensione dell’attribuzione di soggettività morale e giuridica a esseri che prima non venivano considerati affatto in una prospettiva etica: si pensi ad esempio alle generazioni future, agli ecosistemi e, appunto, agli animali non umani. Per quel che concerne la questione animale, il filosofo che ha aperto la strada fu Peter Singer con il suo Liberazione animale (1975) nel quale per la prima volta una teoria filosofica, l’utilitarismo, veniva utilizzata in maniera sistematica per argomentare in favore dell’estensione del nostro universo morale oltre i confini della semplice appartenenza alla specie umana. Il dibattito da allora è stato molto vivace e, ovviamente, non è possibile darne conto in poche righe. E’ tuttavia interessante sottolineare che, come spesso accade in filosofia, la risposta su quale debba essere il posto occupato dagli animali non umani nel nostro sistema morale non è certo stata unanime e soprattutto non ha trovato un unico fondamento di tipo teorico. Ciò non deve affatto sorprendere: infatti le caratteristiche attribuibili alle nostre relazioni morali con gli animali dipendono strettamente dal tipo di paradigma etico di riferimento che ciascun filosofo e ciascuna filosofa scelgono o elaborano per spiegare in termini generali quali caratteristiche possiedano le relazioni morali. Solo per fare alcuni esempi, contro lo specismo (il pregiudizio che discrimina senza ragioni valide tra gli appartenenti a specie diverse) vi è dunque chi ha argomentato in favore di un dovere all’eguale considerazione degli interessi di tutti gli esseri senzienti indipendentemente dalla specie animale di appartenenza, in virtù del loro poter tutti sperimentare, anche se in misura differente, piaceri e sofferenze; chi invece ha ritenuto più adeguato rivendicare dei veri e propri diritti degli animali fondati sulle caratteristiche proprie degli animali non umani; altri e altre ancora hanno tentato di ridescrivere le caratteristiche della moralità umana in termini di sentimenti di “simpatia” e vicinanza i cui confini non si fermano certamente al solo mondo dei conspecifici. Ciò che è certo è che a stimolare i filosofi in questo senso hanno contribuito diversi fattori: in primo luogo la diffusione di una nuova sensibilità ecologica (il pensiero ecologista, o la cosiddetta «filosofia ecologica»), che continua ad essere uno dei più importanti orientamenti in cui la questione animale viene affrontata, unitamente e inscindibilmente rispetto all’attenzione per tutto ciò che è vivente. Un secondo stimolo, forse quello decisivo rispetto ad una presa di posizione morale nei confronti degli animali non-umani, è costituito dalle conseguenze etiche derivanti dai dati scientifici messi a disposizione dagli studi etologici e dalla stessa portata etica della teoria evoluzionista, la cui rilevanza ha innestato un processo che ha visto l’etica impegnata a promuovere una riflessione multidisciplinare sulle implicazioni concettuali e normative delle conoscenze etologiche. Se infatti prendiamo seriamente in considerazione quanto ci deriva di conoscenze dalla prospettiva darwiniana e dai successivi studi etologici, appare evidente come difficilmente si possa attribuire alla specie umana delle caratteristiche che, sola, la rendano degna di forme di tutela morale: le differenze tra “noi” e “loro” sono certamente di natura quantitativa e non qualitativa, e comunque tutti deriviamo dalle stesse leggi evolutive, sebbene con esiti palesemente differenti. Ecco dunque il problema per la filosofia: se gli esseri umani non occupano un gradino privilegiato e unico nell’universo, ma al contrario tutti gli animali, noi compresi, facciamo parte di un comune processo evolutivo che, sebbene con esiti diversi, ha tuttavia caratteristiche comuni, come giustificare allora un sistema filosofico per la moralità che rimanga indifferente alla questione della tutela degli animali non umani? Con queste istanze si è confrontata la filosofia morale elaborando diverse risposte a un’unica domanda: quali sono i nostri doveri morali nei confronti degli animali non umani?.