Terremoto: tra le macerie con i cani
Intervista a Paolo Cortelli Panini, responsabile nazionale del Soccorso alpino, impegnato da subito nelle zone colpite dal terremoto con le unità cinofile

È un clima surreale, apocalittico. Pochi secondi sono bastati per devastare le vite e interi paesi del centro Italia. Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto: luoghi incontaminati, lontani da stress della città, si sono rivelati fatali per oltre 290 persone di ogni età. Bambini, persone anziane, giovani, hanno perso la vita sotto il luogo che, illudendosi, credevano sicuro: la propria casa. Una devastazione totale che ha stordito un’intera nazione. Un segno indelebile che rimane negli occhi e nelle parole di Paolo Cortelli Panini, medico veterinario e responsabile nazionale veterinario del Soccorso alpino. Uno dei tanti eroi che, insieme ai nostri amici a quattro zampe, mettono al primo posto la vita degli altri rispetto alla propria.
A distanza di sei giorni com'è la situazione nelle zone terremotate?
Per quanto riguarda Amatrice si stanno ancora cercando i pochissimi presunti superstiti – perché per noi sono sempre vivi fino a prova contraria – anche se ormai è difficile trovare qualcuno ancora in vita. A Pescara del Tronto tutte le persone che sapevamo essere sotto le macerie sono state estratte. Rispetto alla media abbiamo avuto una buona percentuale di vivi, anche se è drammaticamente alto il numero dei deceduti. Diciamo che nella storia dei terremoti in Italia questo è probabilmente l’evento in cui ci sono più superstiti e questo è dovuto alla tempestività dei soccorsi. Siamo stati velocissimi, considerato che alle 04.10 stavamo già tirando fuori le prime persone. Al momento si sta lavorando in tutte le zone con le pale meccaniche, con grandissima attenzione, e si stanno incominciando a togliere i detriti delle case. Sono tantissimi i campi degli sfollati, distribuiti in modo omogeneo e tutti supportati da personale sia per quanto riguarda la parte medica e psicologica che per quanto riguarda distribuzione di alimenti.
Alcuni sostengono che sia stato diverso rispetto a quello dell’Aquila. Lei che sensazione ha avuto?
Io li ho fatti entrambi. La devastazione è molto simile, non trovo grandi differenze. Semmai la differenza sta nel fatto che i paesini sono completamente distrutti e, per la loro collocazione, stanno scivolando sul pendio, come Pescara del Tronto che è situata sul pendio ed è anche a rischio di smottamenti.
Quale è stata la situazione più difficile da affrontare?
La velocità. Cercare persone vive lavorando in un ambiente altamente impervio e con alto rischio di crolli. Abbiamo lavorato sotto scosse e in alcuni casi abbiamo dovuto usare tecniche alpinistiche mettendo delle corde fisse sopra le macerie per far transitare poi le salme, nel rispetto loro e nel rispetto dei soccorritori.
Come si riesce a operare in un contesto simile?
La scarica di adrenalina è fortissima. Ovviamente ci vuole una grande preparazione fisica, una grande preparazione mentale e abnegazione. Fermo restando che è sempre necessario dare la priorità alla sicurezza dei soccorritori in questi casi – perché andare a fare gli eroi è pericoloso – ci sono però situazioni in cui magari c'è una persona ancora viva proprio sotto le macerie, e la senti che si lamenta, per cui è necessario fare di tutto per velocizzare l'intervento. Per 48 ore abbiamo lavorato solo con le mani, per riuscire a limitare al minimo i possibili danni. Fondamentale è stato il lavoro dei cani.
Quali sono i criteri operativi in queste situazioni ?
Nel momento in cui viene decisa la zona della ricerca, in base alle testimonianze dei superstiti, si fa una prima valutazione veloce, cercando qualcosa che possa dare informazioni sulla presenza umana sotto le macerie anche attraverso l’udito. Abbiamo sentito dei lamenti che ci hanno permesso di raggiungere delle persone vive. Poi c’è il lavoro dei cani: in prima battuta a largo raggio e poi mirato sulle “zone calde”. Quando un cane dà la segnalazione ne viene subito mandato un altro per la conferma e se il secondo cane conferma si inizia lo scavo.
Come si addestrano i cani da salvataggio?
Il cane comincia ad essere addestrato già nei primi 2-3 mesi di età, sempre con il gioco. Nella prima fase l’addestramento è identico a quello dei cani da superficie, da valanga. Poi però bisogna prediligere la capacità di muoversi in un ambiente impervio. Devono essere cani non soltanto con grande temperamento ma anche in grado di muoversi in modo disinvolto sul terreno accidentato. Non c’è stato cane che non abbia riportato piccole ferite ai polpastrelli perché lì ovviamente si cammina su cocci appuntiti, vetri , schegge, polveri. Insomma, ci vogliono cani che abbiano una motivazione estremamente elevata. Hanno operato animali di tantissime associazioni: cani da macerie dei Vigili del fuoco, della Protezione civile, dell’Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di finanza e della Forestale.
Come viene deciso il numero dei cani da utilizzare?
Dipende dall’estensione e dalla tipologia del crollo ma anche dall’autonomia del cane: i cani da macerie possono lavorare solo pochi minuti e poi messi a riposo e rimpiazzati da altri perché lo stress olfattivo è elevatissimo. Nel caso di questo terremoto del centro Italia già dal primo giorno il numero di unità cinofile a disposizione era sufficiente.
Perché vengono scelti proprio i cani, cosa hanno di più rispetto ad altri animali?
Il cane è uno degli animali che ha più socializzazione con l’uomo e quindi è più facile da addestrare, oltre ad avere un olfatto molto sviluppato.
Quale è la maggior fatica per questi cani?
All’aumentare della difficoltà di movimento, diminuisce la concentrazione del naso. Più è facile l’ambiente e più il cane è concentrato mentre in situazione di ambiente difficile il cane deve stare attento a muoversi e perde la concentrazione. Per questo l’addestramento nelle macerie diventa fondamentale per permettere al cane di muoversi in maniera agile su pendii a rischio mantenendo comunque la concentrazione.
Come vengono coordinati?
Nella prima fase della ricerca non vengono impartiti comandi, il cane viene lasciato libero di spaziare ed è lui che cerca l’odore. Se poi ci sono delle indicazioni di testimonianze in un punto particolare, il conduttore arriva sul punto insieme al cane che viene fatto lavorare sul quella zona.
Quali sono i segnali che fanno capire che il cane ha trovato qualcosa?
Loro sentono l’odore dell’uomo e lo comunicano al suo conduttore attraverso il tentativo di scavo associato all’abbaio, che è la segnalazione standard. Ci sono poi alcuni tipi di addestramenti che prevedono che il muso del cane si fermi su un punto.
I cani fino a che età possono fare attività di salvataggio?
Normalmente un cane diventa operativo tra i due e i tre anni, perché prima c’è tutta la fase di addestramento, che comunque continua anche quando il cane è già operativo. Questo avviene finché le condizioni fisiche e psicologiche dell'animale lo consentono, normalmente fra gli 8 e i 10 anni, a meno che non ci siano motivi fisiologici che obbligano a fermarlo prima. In seguito vengono mandati in pensione.
In rete è corsa la notizia che un cane era deceduto dopo aver salvato alcune vite. È vero?
Non mi risulta. Ho anche letto su internet che i cani hanno segnalato 120 persone sotto le macerie ma il numero è eccessivo rispetto alla realtà.
Quanti ne hanno salvati davvero?
Non ti so dare un numero preciso. Direi comunque che sono stati fondamentali. Uno o due cani erano lì già dalle 06.30/07.00 ed erano cani della zona. Io ho poi fatto trasportare dal Veneto, dalla Lombardia, dalla valle d’Aosta, dal Trentino e dalla Calabria, con l’elicottero, i cani da macerie che sono arrivati nel pomeriggio, quando erano già state estratte tante persone vive e, purtroppo, anche tante salme.
Lei è riuscito a salvare qualche vita?
No, io ho recuperato solo cadaveri. Purtroppo.
Chi volesse avvicinarsi al mondo del volontariato e del soccorso alpino cosa deve fare?
Per prima cosa deve essere una persona con un’età inferiore ai 45 anni e con una certa agilità nel muoversi in ambienti montani, sia estivi che invernali. In questi casi è possibile fare richiesta al servizio regionale di appartenenza dove viene fatta una valutazione e, se ci sono i presupposti tecnici per andare avanti, la persona entra al soccorso alpino come allievo. C’è poi un iter che dura circa 3 anni che dà la possibilità di raggiungere il primo brevetto che si chiama OSA, operatore soccorso alpino, il primo step dopo il quale ci si specializza in base alle proprie caratteristiche.
Cosa la spinge ogni volta a prendere e correre?
Non lo so, è una cosa naturale.
Cosa rimane di queste esperienze negli occhi e nel cuore?
La disperazione di non essere riuscito a salvare più persone unita però alla certezza di aver fatto veramente tutto quello che è umanamente possibile. Per questo terremoto noi siamo certi di aver fatto veramente il possibile, abbiamo fatto tanto. Poi ci sono criticità, incomprensioni, però sai quando ti svegliano alle 03.30 e ti dicono “Corri che qui è crollato tutto” arrivi lì e per riuscire ad organizzare i soccorsi qualche ora ci vuole. Ma in questo caso mi sento di dire che la macchina dei soccorsi si è mossa prima rispetto a quanto avvenuto all’Aquila.
Quanto è difficile riuscire a mantenere sotto controllo l’emotività?
Ti garantisco che quando siamo in intervento non c’è tempo per la commozione, siamo come macchine da guerra. Poi, quando si torna a casa, ci si rende conto di quanto è successo ed è difficile contenere la commozione.